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In paese lo chiamavano Macaù.

A Bedizzano, villaggio di cavatori incastrato a forza nelle Alpi Apuane, fu il primo ad acquistare un’auto.

Era una Fiat 1100.

Per quel tempo, i primi anni Cinquanta, e in quel contesto, un’astronave.

Macaù, però, non sapeva guidare.

Si era fatto portare l’auto al paese, ma l’avevano lasciata sullo slargo il alto, dove si fermavano le corriere.

Lasciarla lì, incustodita, era impensabile.

Bisognava portarla a casa di Macaù, dalla parte opposta del paese.

Tutta Bedizzano si era riunita attorno a quell’oggetto venuto dal futuro.

Il solo guardarla era un po’ come possederla.

Come spostarla? Metterla in moto era impensabile.

Nessuno aveva mai guidato e la sola idea di farle anche solo un graffio era come imbrattare il volto di Gesù in chiesa.

C’erano uomini con braccia forti, induriti da anni di lavoro nelle cave.

Lizzatori capaci di domare blocchi di marmo e condurli a valle.

L’avrebbero portata a spinta.

Oh issa. Oh issa. Oh issa.

L’auto non si muoveva di un solo centimetro. Spingi e spingi, tira e scrolla, la maledetta non molla.

Mio padre, ottantaquattro primavere portate alla grande, non ricorda chi fu il genio che comprese l’uso del freno a mano e lo mollò, ma ancora ride come un matto ricordando l’episodio del quale solo i vecchi conservano memoria.

Torna bambino e mi racconta come, tutti i giorni, andava e tornava da scuola a piedi. Quattro chilometri di discesa all’andata e quattro di salita al ritorno. Si camminava tutti insieme. C’erano il gioco, le burla e le risate, non la fatica.

C’erano le estati al mare.

Tutti giù fino a Carrara di corsa e dopo in piedi sul paraurti del filobus che portava a Marina.

E poi la prima Vespa acquistata a rate.

Le comitive e gli amici, le balere, le canzoni degli anni sessanta, le prime minigonne, le radio grandi come armadi e il televisore che era solo al bar del paese.

Il lavoro era duro. Dieci ore il giorno per sei giorni la settimana.

Eppure c’era il sorriso, la voglia di stare insieme e la certezza che il domani sarebbe stato migliore dell’oggi.

Negli occhi dolci di mio padre la certezza che ciò che abbiamo perso è maggiore di quanto abbiamo guadagnato.


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