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Alcuni giorni fa un uomo è deceduto in un incidente stradale di fronte al mio ufficio.

Siamo accorsi, ma la sua vita stava già correndo via e non siamo riusciti a raggiungerla.

Era immobile, pancia a terra, la maglietta tirata su, il casco ancora allacciato, la gamba
destra disarticolata, il polso debole.

È rimasto a lungo sull’asfalto in attesa dell’ambulanza prima, e del carro funebre poi.

Osservi quel corpo ormai senza vita e pensi che avresti potuto essere al suo posto.

Esci di casa in una calda giornata di luglio e non torni più.

Stai andando al lavoro, o a fare la spesa, oppure al mare, devi andare a prendere i figli,
stai programmando una vacanza, sei ottimista per un affare che sembra si metta bene,
oppure pensieroso perché il lavoro non gira, vorresti sposarti o divorziare, cambiare auto
o andava a vivere all’estero.

È una giornata, solo una giornata, una di quelle di sempre; però è l’ultima.

Un colpo e tutto se ne va.

Quante cose ancora da fare e da dire, quanti abbracci mancati, quante parole non dette, i
figli da tenere stretti, gli occhi dolci di mia madre e il sorriso buono di mio padre, il
sapore dei pomodori appena raccolti, le albe e i tramonti, la risata di un amico, un
cucchiaio di Nutella, gli ombrelloni chiusi in riva al mare quando la gente se ne va:
piccole e grandi cose che non ci saranno più.

Un colpo e tutto se ne va.


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