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Il tempo che ho vissuto è maggiore di quello che mi rimane, sia per durata, che per qualità.

Ho passato i cinquanta, e mi capita di osservare gli anni trascorsi quasi appartenessero a qualcun altro.

Mi chiedo come i giorni, i mesi e gli anni siano potuti scivolare via così, senza che riuscissi in qualche modo a rallentarli.

Invidio coloro che non hanno rimpianti; io ne ho, e molti.

Mi corico insieme a loro, e spesso, nel cuore della notte, ci raggiungono anche i rimorsi.

Perché la vita è bella, ma andrebbe vissuta almeno due o tre volte per apprezzarla, e capirne il senso.

Non sono particolarmente acuto, e l’ho compreso tardi.

In gioventù volevo che il tempo corresse.

Anelavo di crescere e diventare grande, lasciare dietro di me le incertezze dell’adolescenza, i brufoli e i chili di troppo, la timidezza e quel male di vivere che sentivo dentro.

Spingevo il mio carretto in salita, volevo andasse veloce, e non vedevo l’ora di arrivare sulla cima.

Quando sono arrivato, lassù, in alto, avrei voluto restare un poco, osservare il panorama, respirare l’aria buona e mangiare un panino, ma subito il carretto ha preso a scendere. Aveva trovato quella velocità che prima non gli apparteneva.

E io sempre dietro, ma questa volta a cercare di trattenerlo, con i talloni puntati a terra e le mani che mi facevano male, perché correndo così la strada sarebbe finita troppo in fretta.

Questo è la vita: un cerino. Lo accendi, la fiamma sul principio sembra non partire, poi prende forza e rizza la testa; non fai in tempo a gioirne che già scende, e subito langue, e si spegne.

Guardo il bambino della foto, con gli improbabili calzoni corti a quadretti, il gilet verde e il papillon.

Quanta strada abbiamo fatto, Claudio mio.

Vieni qui, siedi sulle mie ginocchia, e abbracciami un po’, perché tornare bambini aiuta a diventare vecchi.

Claudio Colombi. Autore del libro La Bibbia di Kolbrin“.

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