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Mio zio si chiamava Carlo, ma per tutti era Carluccio.

Zio Carluccio ha sempre avuto un posto speciale nel mio cuore.

Non era il tipo che ti butta le braccia al collo e ti ninna sulle gambe, ma c’era fra noi una similitudine di carattere.

Fu colpito da un ictus all’età di 41 anni. La parte sinistra del corpo lo abbandonò, e rimase invalido.

L’invalidità colpisce non solo il corpo, ma soprattutto la mente, e colpisce chi ti sta attorno, a volte ancora più duramente di chi l’ha subita.

Mentre scrivo mi viene alla mente la volta in cui lo presi in braccio e lo portai al terzo piano.

La figlia, mia cugina, abitava in un palazzo senza ascensore, e non c’era altro modo per portarlo in casa.

Mi sembra ancora di sentire il suo corpo ossuto fra le mani, la testa appoggiata alla mia spalla quasi fosse un bambino, lo sguardo con il quale mi osservava.

Zio Carluccio aveva dato un ordine alla monotonia delle giornate. C’era il momento della sigaretta, del riposo, del telefilm del quale non perdeva una puntata e della camminata.

La tenacia dell’uomo che conosceva la durezza del lavoro in cava era rimasta indenne, aveva solo preso un’altra direzione.

Un pomeriggio andai a trovarlo. Era luglio o agosto. Il sole picchiava senza pietà. Lo trovai impegnato nella camminata quotidiana. Avanti e indietro dalla porta di casa fino al cancello. Il bastone da una parte, il braccio sinistro attaccato al corpo e la caparbietà di non mollare mai.

Il suo sorriso triste, il mio bacio sulla guancia.

Vai in casa che fa caldo – mi disse – ora vengo.

Dirgli che faceva caldo anche per lui non avrebbe sortito effetto. Mi fermai sulla porta ad aspettare che finisse.

Indossava una canottiera di cotone, sudava copiosamente e il respiro era affannoso. Non so spiegarvi, ma la camminata incerta, il piede sinistro che strusciava per terra, le spalle ossute e la schiena curva, non trasmettevano fragilità, ma FORZA.

Mi guardava, in silenzio. Lui, ciò che era la sua vita in quel momento, rappresentava un monito: non mollare, per quanto la vita possa essere dura, non dargliela vinta, mai.

E’ stato quel giorno che ho compreso che i Supereroi esistono, e uno di questi era mio zio Carluccio.


Claudio Colombi. Autore del libro La Bibbia di Kolbrin“.

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