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Elsa non era bella, e neppure intelligente.

Era nata nel 1935 da una famiglia di contadini.

Sua sorella morì investita da un’auto. Stava scappando dalla madre che la inseguiva con un bastone. Era corsa fuori casa cercando la salvezza, ma aveva trovato la morte. O forse stava scappando dalla morte, e aveva trovato la salvezza.

Elsa non ebbe la stessa fortuna.

Aveva passato l’età da marito, e la madre, non avendo trovato nulla di meglio, decise di darla in sposa a un mostro. Si ubriacava tutte le sere, e usava il gracile corpo di Elsa per sfogare la sua rabbia.

Ebbero un figlio. Abitavano a pochi metri da casa mia. Vivevano in povertà, in un piccolo appartamento spoglio: una cucina, due camere e un bagno esterno.

Mi è capitato di trovarmi in quella casa al ritorno del marito. Entrava urlando, ubriaco e maleodorante.

– Dove sei, puttana? –

Il sorriso di Elsa sfumava.

Lui l’afferrava per i capelli e la portava in camera. La sentivo chiedere pietà, piangere. Mi sembra di sentirle ancora oggi quelle grida. Il figlio scrollava le spalle, e io correvo a casa, lontano da quell’orrore.

Ho pochi ricordi di lei, anche perché morì quando avevo 12 anni. La penso spesso, però. La ricordo vestita umilmente, con l’eterno grembiule annodato in vita.

Quando andavo a chiamare il figlio, un tempo compagno di giochi, mi accoglieva con quel sorriso triste. Capitava di fare merenda, e lei non aveva molto da offrire. Allora, tagliava a fette il pane stantio e lo friggeva nella padella:

– Ti piace? – mi chiedeva timida e umile.

E quando io le facevo di sì con la testa, i suoi occhi buoni si inumidivano.

Elsa è morta all’età di 46 anni. Un male al fegato, forse, oppure le troppe botte ricevute.

Perché ho scritto questa storia? Non lo so. Non so perché ancora oggi, dopo 40 anni dalla sua morte, quando passo davanti al cimitero dove riposa, mi faccio il segno della croce e la penso. Non so perché la vita possa essere così bastarda e crudele come lo è stata con Elsa. Non so perché quei pochi ricordi che ho di lei ancora mi fanno venire le lacrime agli occhi.

Volevo solo che qualcosa di Elsa rimanesse, fosse anche solo il ricordo di un bambino che le ha voluto bene.


Claudio Colombi. Autore del libro La Bibbia di Kolbrin“.

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